Pubblichiamo l’interessante esamina dell’avvocato Nicola Canestrini, Studio Legale Canestrini, in merito alla “famosa” sentenza Eternit di alcuni giorni fa.
La sentenza della Cassazione ha annullato la condanna originariamente inflitta a Torino nel 2012 nel processo “Eternit”, nome commerciale della miscela cemento – amianto. Si è infatti prescritto anche il reato di disastro doloso (l’altro, l’omissione dolosa di adozione di cautele antinfortunistiche, era già prescritto in primo grado): ciò non può che indurre a riflettere ancora una volta sull’adeguatezza del nostro sistema penale, che dovrebbe far coincidere il diritto con la giustizia.
Il tema dell’amianto e dell’accertamento penale delle eventuali responsabilità penali per le morti da mesotelioma pleurico non è un problema troppo astratto per il Trentino, ove si svolse nel 1985 il primo convegno nazionale sull’amianto: nel periodo 1997 – 2012 il registro ReNaM documenta nella nostra provincia 97 casi di mesotelioma maligno, di cui 51 per esposizione professionale in stabilimenti di Trento, Riva del Garda, Arco, Ala Lavis, Predazzo, Tione e – last not least, dato che allo stabilimento Collotta-Cis si deve la prima allarmante notizia giornalistica ricollegata all’amianto nel 1977 per l’epidemia di tumori ed asbestosi – Molina di Ledro. Infatti, anche in Trentino vi sono processi penali in corso, e siamo in attesa della pronuncia definitiva della Cassazione su un proscioglimento di Trento (o, addirittura, delle motivazioni di e due sentenze di Rovereto che hanno prosciolto tempo fa gli imputati dal reato di omicidio colposo).
Non è un problema del passato, dato che il picco delle patologie legate ad esposizione ad eternit sarà raggiunto fra il 2015 ed il 2019 in quei paesi occidentali che avevano utilizzato fino agli anni 80 la miscela cemento amianto per le sue particolari proprietà di termodispersione e fonoassorbenza. L’amianto è stato utlizzato per la coibentazione di edifici, tetti, navi, treni, tegole, nell’edilizia, nelle tute dei vigili del fuoco, nelle auto,..
Se nel Regno Unito, secondo una bella pubblicazione della LILT Trentino “Amianto e mesotelioma pleurico. Emergenza nazionale e situazione in Trentino” (2013), fin dal 1930 si stabilì la natura cancerogena dell’amianto (con diritto al risarcimento dei lavoratori danneggiati) , in Italia – uno dei maggiori produttori – la legge intervenne per vietarne l’utilizzo solo nel 1992.
Il fallimento italiano, con stime di 34.000 siti da bonificare, è suggellato dal fatto che alcune regioni non hanno neppure ancora completato la mappatura dei siti a rischio!
Ovvio quindi che le vittime ed i loro familiari, di fronte a difficoltà politiche, scientifiche, mediche, si rivolgano alla giustizia penale, che rappresenta l’ultima speranza più che l’ultimo strumento di tutela (stravolgendo così lo stesso significato del cd. principio di sussidiarietà del diritto penale).
Il fatto è che il diritto penale moderno prevede un sistema di garanzie, fra le quali il principio di responsabilità penale personale ed il principio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio” nell’accertamento della responsabilità e quindi anche del nesso causale: questi principi, è bene dirlo con chiarezza, a tutela di tutti noi e per arginare abusi del potere statuale.
Sospetto che il processo di Torino sia nato menomato sin dall’inizio, quando l’accusa, probabilmente per aggirare le difficoltà di provare il nesso causale tra esposizione e decessi, ha adottato una impostazione accusatoria molto “creativa”, criticata pesantemente fin dalla sentenza di primo grado; certo è che la scelta di non contestare gli omicidi ma il reato cd. disastro innominato portava con sé il rischio – poi avveratosi drammaticamente con il dispositivo della Cassazione – di illudere ulteriormente chi cercava giustizia per sé e i propri cari (si contano migliaia di parti civili in quel processo).
Non c’entra però la prescrizione nel senso di eccessiva durata nell’accertamento della verità, e con allarme e fastidio ho visto il Presidente del Consiglio – che forse dovrebbe interrogarsi sulla necessità di intervenire per quanto di propria responsabilità, e quindi potrebbe pensare ad una legge che dia il giusto risarcimento alle vittime ed ai loro familiari – lanciare anatemi sulla disciplina attuale della prescrizione.
Chi lo fa è in mala fede e tenta di strumentalizzare il rinnovato dolore dell’opinione pubblica.
I reati si sono prescritti perché la si sono volute forzare i meccanismi del processo penale, ma la lunga durata dei processi qui non c’entra nulla.
Prima di prospettare come indispensabile una riforma della prescrizione che preveda la interruzione dei termini di prescrizione dopo la sentenza di primo grado, varrebbe la pena di ricordare che a seguito della introduzione della contestata riforma del 2005, che venne approvata dall’allora maggioranza di centro-destra nonostante le proteste dell’opposizione, dei magistrati e degli avvocati penalisti (!), il numero delle prescrizioni, che nel 2005 ammontava ad oltre 200mila, si è sostanzialmente dimezzato; e che la piaga delle prescrizioni si realizza per il 70% circa durante la fase delle indagini. Quindi congelare la prescrizione dopo la sentenza di primo grado (cioè ben oltre le indagini) non servirebbe a nulla se non a creare alibi per tenere aperti processi penali “a vita”, con buona pace di ogni “ragionevole durata” del processo e con il risultato che le condanne obbligherebbero a scontare pene inflitte per reati commessi molti anni prima (oltre che a spostare nel tempo i risaricmenti).
Giustizia incomprensibile? Il Barone Montesquieu, nel suo celeberrimo “Spirito delle leggi” di quasi trecento anni fa, scrisse: “Se esaminate le formalità della Giustizia in relazione alla fatica che fa un cittadino per farsi restituire quello che è suo o per ottenere soddisfazione di un’offesa, ne troverete senza dubbio troppe. Se le considerate nel rapporto che hanno con la libertà e la sicurezza dei cittadini, ne troverete spesso troppo poche; e vedrete che le fatiche, le spese, le lungaggini, perfino i rischi della Giustizia, sono il prezzo che ogni cittadino paga per la propria libertà.”
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Si ringrazia l’Avvocato Nicola Canestrini per la gentile concessione